Ho trovato molto interessante l’articolo di Jessica Olien uscito sulla rivista Statunitense “Slate” sulle implicazioni della solitudine sulla salute mentale e fisica delle persone. L’autrice ne fa un racconto personale partendo da un suo trasferimento, dalla città di New York a Portland nell’Oregon. Racconta le difficoltà vissute, il graduale passaggio da uno stato di entusiasmo e ottimismo, della nuova condizione, ad uno stato di solitudine e di sofferenza psicologica che l’hanno portata a far rientro a New York. La Olien racconta il suo impegno nel cercare un contatto con le persone che però non è riuscita a trovare, ha intrapreso diverse attività fino al Golf e frequentato diversi luoghi (parchi, librerie, bar, etc.). La sensazione che descrive è quella del sentirsi soli in mezzo alla gente. Così come ritroviamo nella descrizione di Stephen Fry, uno dei più famosi attori del Regno Unito, che in un post nel suo blog racconta del suo tentato suicidio e di come la solitudine sia la parte peggiore del suo malessere. La domanda che ci poniamo è: come fa un attore così famoso a sentirsi solo? La risposta probabilmente la sappiamo, la maggior parte di noi sa che cosa vuol dire essere soli in una stanza piena di gente. Si potrebbe essere circondati da centinaia di fan adoranti, ma manca la persona con cui creare una relazione che si basa sulla fiducia e sull’interesse reciproco. In termini di interazioni umane, il numero di persone che conosciamo non è la migliore misura. Al fine di essere socialmente soddisfatti non abbiamo bisogno dei grandi numeri. Secondo Cacioppo J. T. e Patrick W. (2009) la chiave è la qualità, non la quantità di persone. Abbiamo bisogno di quelle persone su cui siamo in grado di creare relazioni reciprocamente soddisfacenti.
Sono diverse le ricerche che evidenziano come lo stato di solitudine, se prolungato, possa essere una condizione anche grave per la salute dell’individuo. Ad esempio, studi condotti su una popolazione anziana hanno rilevato che coloro che vivono una condizione di isolamento sociale, una scarsa interazione sociale hanno due volte più probabilità di un decesso prematuro. Dalla letteratura scientifica emerge che il rischio di mortalità, per chi vive una condizione di isolamento, è paragonabile a quella della dipendenza dal tabacco. Inoltre, si è rilevato che la solitudine è un forte fattore di rischio per la salute addirittura più pericoloso dell'obesità.
L'isolamento sociale altera la funzione immunitaria, ci sono studi che la collegano al diabete di tipo II, malattie cardiache e disturbi mentali. Nonostante queste evidenze non c’è ancora un’adeguata sensibilizzazione così come è avvenuto per la dipendenza da tabacco e per l’obesità.
Negli ultimi anni, nonostante le nuove tecnologie, la condizione del vissuto della solitudine è raddoppiata: il 40% degli adulti, in due recenti indagini hanno dichiarato di essere soli, rispetto al 20% registrato nel 1980.
Sembrerebbe che tutte le nostre interazioni che avvengono grazie ad Internet non stiano aiutando così come si potrebbe pensare, ma al contrario incidano negativamente sullo stato di solitudine. Un recente studio di utenti di Facebook ha scoperto che la quantità di tempo speso per il social network è inversamente proporzionale al senso di felicità vissuto nella giornata.
Così come la nostra cultura è molto attenta alla prevenzione dell'obesità e alle campagne di prevenzione per la riduzione della dipendenza dal tabacco; non è ancora adeguatamente preparata per intervenire su un fattore di rischio così importante, per la salute dell’individuo, com’è la riduzione delle interazioni sociali e la tendenza all’isolamento che stiamo vivendo nella nostra società. Attualmente sia in Danimarca che in Gran Bretagna stanno dedicando tempo ed energie nella ricerca di soluzioni e progetti per le persone sole, in particolare partendo dagli anziani.
Bibliografia:
Cacioppo J. T. Patrick W. (2009). Solitudine. L'essere umano e il bisogno dell'altro. Milano: Il Saggiatore.
Sitografia:
http://www.slate.com/articles/health_and_science/medical_examiner/2013/08/
dangers_of_loneliness_social_isolation_is_deadlier_than_obesity.html?wpsrc=sh_all_dt_fb_bot
Dott. Alberto Migliore, psicologo a Torino, Chieri
Sono diverse le ricerche che evidenziano come lo stato di solitudine, se prolungato, possa essere una condizione anche grave per la salute dell’individuo. Ad esempio, studi condotti su una popolazione anziana hanno rilevato che coloro che vivono una condizione di isolamento sociale, una scarsa interazione sociale hanno due volte più probabilità di un decesso prematuro. Dalla letteratura scientifica emerge che il rischio di mortalità, per chi vive una condizione di isolamento, è paragonabile a quella della dipendenza dal tabacco. Inoltre, si è rilevato che la solitudine è un forte fattore di rischio per la salute addirittura più pericoloso dell'obesità.
L'isolamento sociale altera la funzione immunitaria, ci sono studi che la collegano al diabete di tipo II, malattie cardiache e disturbi mentali. Nonostante queste evidenze non c’è ancora un’adeguata sensibilizzazione così come è avvenuto per la dipendenza da tabacco e per l’obesità.
Negli ultimi anni, nonostante le nuove tecnologie, la condizione del vissuto della solitudine è raddoppiata: il 40% degli adulti, in due recenti indagini hanno dichiarato di essere soli, rispetto al 20% registrato nel 1980.
Sembrerebbe che tutte le nostre interazioni che avvengono grazie ad Internet non stiano aiutando così come si potrebbe pensare, ma al contrario incidano negativamente sullo stato di solitudine. Un recente studio di utenti di Facebook ha scoperto che la quantità di tempo speso per il social network è inversamente proporzionale al senso di felicità vissuto nella giornata.
Così come la nostra cultura è molto attenta alla prevenzione dell'obesità e alle campagne di prevenzione per la riduzione della dipendenza dal tabacco; non è ancora adeguatamente preparata per intervenire su un fattore di rischio così importante, per la salute dell’individuo, com’è la riduzione delle interazioni sociali e la tendenza all’isolamento che stiamo vivendo nella nostra società. Attualmente sia in Danimarca che in Gran Bretagna stanno dedicando tempo ed energie nella ricerca di soluzioni e progetti per le persone sole, in particolare partendo dagli anziani.
Bibliografia:
Cacioppo J. T. Patrick W. (2009). Solitudine. L'essere umano e il bisogno dell'altro. Milano: Il Saggiatore.
Sitografia:
http://www.slate.com/articles/health_and_science/medical_examiner/2013/08/
dangers_of_loneliness_social_isolation_is_deadlier_than_obesity.html?wpsrc=sh_all_dt_fb_bot
Dott. Alberto Migliore, psicologo a Torino, Chieri