L’adesso è l’immagine più intima del passato (Benjamin, 1966)
Pin1 è un bambino di circa dieci anni di origini liguri, orfano di madre e con il padre marinaio svanito nel nulla, abbandonato a se stesso e in perenne ricerca di persone che gli possano donare un po’ d’affetto nel vicolo dove vive, o nell'osteria che frequenta per incontrare quegli esseri: “gli adulti” che lo spaventano ma allo stesso tempo lo attraggono con la speranza di basi sicure dove poter approdare. Il contesto di vita di Pin è la Liguria all’epoca della seconda guerra mondiale e della nascita della Resistenza partigiana.
Pin è un bambino che desidera “…sdraiarsi nella sua cuccetta e stare a occhi aperti e fantasticare… di bande di ragazzi che lo accettino come loro capo, perché lui sa tante cose più di loro, e tutti insieme andare contro i grandi e picchiarli e fare cose meravigliose, cose per cui anche i grandi siano costretti ad ammirarlo ed a volerlo come capo, e insieme a volergli bene e ad accarezzarlo sulla testa. Ma invece lui deve muoversi nella notte solo e attraverso l’odio dei grandi…” (Calvino, 1947, p. 82).
Nel racconto di Pin emerge un “piccolo uomo” alla ricerca di una figura genitoriale che nella sua vita, per varie ragioni non si è concretizzata: “Sono qua aspetto la tua presenza spero non mi schiaccerai ma spero, spero veramente che ci sarai” (corsivo mio). Pin si guarda attorno e non trova nessuno, chi lo difenderà? chi si prenderà cura di lui? Ma non stiamo parlando solo di aspetti materiali, chi si occuperà del suo sentire di cosa prova e proverà nella scalata della crescita? È come quel paziente che fantastica posti lontani dove “immagina” di essere accolto, atteso, pensato, amato, allontanando quel peso che lo farà sentire sempre, in qualsiasi posto, uno straniero. Invaso da emozioni straniere da cui si allontana attraverso una parvenza di forza, di sicurezza, di armatura protettiva che come un “…sortilegio magico e allucinatorio, imprigiona il vivere, ma libera da asprezze e crudezze della vita, le addomestica, aiuta a superarle, nasconderle e camuffarle quel tanto che basta per sopravvivere” (Morante, 1995, p. 135).
Il destino ha riservato a Pin una condizione di solitudine, figure distanti e incapaci di contenere la sua “vita-lità”. Ed ecco che la sua mente ha uno slancio e non può far altro che allontanare il suo senso di impotenza, di solitudine di infinita sofferenza, attraverso un immaginario di forza onnipotente di “motore narcisistico”2 che macina tutto e porta ad agire nella ricerca di una “verità patologica” che allontani il vuoto relazionale. Qual è il sintomo di Pin? Forse il bisogno opprimente dell’altro, al fine di allontanare il vuoto lasciato dalla mancanza di un oggetto interno capace di contenere le proprie emozioni. Ecco dov’è probabilmente il “sintomo” di Pin, nelle relazioni, si porge attraverso un Sé protettivo, distante, concentrato sulla propria ferita, che necessita di esprimere la sua potenza (sarcasmo pungente) per stupire, per raccogliere consensi ma ottenendo allontanamento, sfruttamento e solitudine. Come nel mito di Narciso Pin è condannato a cercare l’amore e a “non possedere chi ama”.
Probabilmente questa condizione di ricerca della relazione sta nel fallimento dei processi di rispecchiamento e di soggettivazione, nella difficoltà di acquisire una forma attraverso il contatto con l’altro; una modalità di funzionamento come supporto e rinforzo cercando di mantenere un sé coeso (Ponsi, 2003).
Ma torniamo a Pin e al suo “caso”, nella sua vita si affaccia ma senza la possibilità di un incontro, una figura molto interessante, il comandante di brigata partigiana Kim studente di medicina, probabilmente diverrà “il medico dei cervelli, sarà: uno psichiatra” (Calvino, 1947, p. 345). Un uomo desideroso di logica, di sicurezza, con molti interrogativi irrisolti e un enorme interesse per il genere umano.
Tra le sue riflessioni c’è il perché gente senza divisa né bandiera combatta con tanto furore, un soggetto che si: “...arrangia in mezzo alle storture... …legati come sono alla ruota che li macina. …è l’offesa dalla loro vita, il buio della loro strada, il sudicio delle loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di essere cattivi” (Calvino, 1947, p.366 - 367). Dove “…basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima e ci trova dall’altra parte… a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso. …che li porta uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto (Calvino, 1947, p.367 - 369).
Anche Pin sta cercando il suo riscatto, anche Pin Ferisce, sta combattendo il suo “conflitto”, il lottare con se stesso nella ricerca di una “nuova relazione” in grado di contenere un vuoto troppo intenso da poter gestire.
Una lotta vuota fatta di fantasie narcisistiche, una coperta fatta di grandiosità che non riesce a riscaldare ma soffoca l’altro e solo in parte capace di coprire una fragilità non ancora riconosciuta.
Una consapevolezza troppo lontana e dolorosa per Pin, non ancora pensata. La consapevolezza di un limite troppo doloroso da vedere, che si affaccia nei pensieri del futuro psichiatra, comandante di brigata.
Kim (il futuro psichiatra) riflettendo su di sé pensa:
«Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani…. » (Calvino, 1947, p.382)
Bibliografia:
Benjamin, W. (1966), Sul concetto di storia. Torino: Einaudi, 1997
Calvino, I. (1947), Il sentiero dei nidi di ragno. Torino, Einaudi
Morante, E. (1995), La storia. Torino: Einaudi
Internet:
http://www.spi-firenze.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:narcisismo-e-perversione-relazionale2&catid=83&Itemid=499
http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5408%3A25-ottobre-2014-cmp-narcisismo-oggi-2&catid=425%3Arotante&itemid=373
Pin1 è un bambino di circa dieci anni di origini liguri, orfano di madre e con il padre marinaio svanito nel nulla, abbandonato a se stesso e in perenne ricerca di persone che gli possano donare un po’ d’affetto nel vicolo dove vive, o nell'osteria che frequenta per incontrare quegli esseri: “gli adulti” che lo spaventano ma allo stesso tempo lo attraggono con la speranza di basi sicure dove poter approdare. Il contesto di vita di Pin è la Liguria all’epoca della seconda guerra mondiale e della nascita della Resistenza partigiana.
Pin è un bambino che desidera “…sdraiarsi nella sua cuccetta e stare a occhi aperti e fantasticare… di bande di ragazzi che lo accettino come loro capo, perché lui sa tante cose più di loro, e tutti insieme andare contro i grandi e picchiarli e fare cose meravigliose, cose per cui anche i grandi siano costretti ad ammirarlo ed a volerlo come capo, e insieme a volergli bene e ad accarezzarlo sulla testa. Ma invece lui deve muoversi nella notte solo e attraverso l’odio dei grandi…” (Calvino, 1947, p. 82).
Nel racconto di Pin emerge un “piccolo uomo” alla ricerca di una figura genitoriale che nella sua vita, per varie ragioni non si è concretizzata: “Sono qua aspetto la tua presenza spero non mi schiaccerai ma spero, spero veramente che ci sarai” (corsivo mio). Pin si guarda attorno e non trova nessuno, chi lo difenderà? chi si prenderà cura di lui? Ma non stiamo parlando solo di aspetti materiali, chi si occuperà del suo sentire di cosa prova e proverà nella scalata della crescita? È come quel paziente che fantastica posti lontani dove “immagina” di essere accolto, atteso, pensato, amato, allontanando quel peso che lo farà sentire sempre, in qualsiasi posto, uno straniero. Invaso da emozioni straniere da cui si allontana attraverso una parvenza di forza, di sicurezza, di armatura protettiva che come un “…sortilegio magico e allucinatorio, imprigiona il vivere, ma libera da asprezze e crudezze della vita, le addomestica, aiuta a superarle, nasconderle e camuffarle quel tanto che basta per sopravvivere” (Morante, 1995, p. 135).
Il destino ha riservato a Pin una condizione di solitudine, figure distanti e incapaci di contenere la sua “vita-lità”. Ed ecco che la sua mente ha uno slancio e non può far altro che allontanare il suo senso di impotenza, di solitudine di infinita sofferenza, attraverso un immaginario di forza onnipotente di “motore narcisistico”2 che macina tutto e porta ad agire nella ricerca di una “verità patologica” che allontani il vuoto relazionale. Qual è il sintomo di Pin? Forse il bisogno opprimente dell’altro, al fine di allontanare il vuoto lasciato dalla mancanza di un oggetto interno capace di contenere le proprie emozioni. Ecco dov’è probabilmente il “sintomo” di Pin, nelle relazioni, si porge attraverso un Sé protettivo, distante, concentrato sulla propria ferita, che necessita di esprimere la sua potenza (sarcasmo pungente) per stupire, per raccogliere consensi ma ottenendo allontanamento, sfruttamento e solitudine. Come nel mito di Narciso Pin è condannato a cercare l’amore e a “non possedere chi ama”.
Probabilmente questa condizione di ricerca della relazione sta nel fallimento dei processi di rispecchiamento e di soggettivazione, nella difficoltà di acquisire una forma attraverso il contatto con l’altro; una modalità di funzionamento come supporto e rinforzo cercando di mantenere un sé coeso (Ponsi, 2003).
Ma torniamo a Pin e al suo “caso”, nella sua vita si affaccia ma senza la possibilità di un incontro, una figura molto interessante, il comandante di brigata partigiana Kim studente di medicina, probabilmente diverrà “il medico dei cervelli, sarà: uno psichiatra” (Calvino, 1947, p. 345). Un uomo desideroso di logica, di sicurezza, con molti interrogativi irrisolti e un enorme interesse per il genere umano.
Tra le sue riflessioni c’è il perché gente senza divisa né bandiera combatta con tanto furore, un soggetto che si: “...arrangia in mezzo alle storture... …legati come sono alla ruota che li macina. …è l’offesa dalla loro vita, il buio della loro strada, il sudicio delle loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di essere cattivi” (Calvino, 1947, p.366 - 367). Dove “…basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima e ci trova dall’altra parte… a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso. …che li porta uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto (Calvino, 1947, p.367 - 369).
Anche Pin sta cercando il suo riscatto, anche Pin Ferisce, sta combattendo il suo “conflitto”, il lottare con se stesso nella ricerca di una “nuova relazione” in grado di contenere un vuoto troppo intenso da poter gestire.
Una lotta vuota fatta di fantasie narcisistiche, una coperta fatta di grandiosità che non riesce a riscaldare ma soffoca l’altro e solo in parte capace di coprire una fragilità non ancora riconosciuta.
Una consapevolezza troppo lontana e dolorosa per Pin, non ancora pensata. La consapevolezza di un limite troppo doloroso da vedere, che si affaccia nei pensieri del futuro psichiatra, comandante di brigata.
Kim (il futuro psichiatra) riflettendo su di sé pensa:
«Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani…. » (Calvino, 1947, p.382)
- Pin è il bambino protagonista del romanzo di Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno
- www.migliorepsicologia.com/blog/april-13th-2015
Bibliografia:
Benjamin, W. (1966), Sul concetto di storia. Torino: Einaudi, 1997
Calvino, I. (1947), Il sentiero dei nidi di ragno. Torino, Einaudi
Morante, E. (1995), La storia. Torino: Einaudi
Internet:
http://www.spi-firenze.it/it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:narcisismo-e-perversione-relazionale2&catid=83&Itemid=499
http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5408%3A25-ottobre-2014-cmp-narcisismo-oggi-2&catid=425%3Arotante&itemid=373