Psicologo Psicoterapeuta Torino e Chieri - Dottore Alberto Migliore
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L’utilità della psicoterapia. I risultati che si possono attendere

19/5/2013

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I risultati che una persona vuole raggiungere con un percorso psicoterapeutico  possono riguardare più aspetti della vita di un individuo, nella maggior parte  dei casi hanno un filo comune che li collega fra di loro che possiamo descrivere  bene con, il termine generico, di un senso completo di benessere. Sono diverse  le variabili che influenzano il raggiungimento dell’obiettivo o forse sarebbe  meglio dire degli obiettivi. Spesso una psicoterapia porta a più risultati. In  questo scritto descriverò alcuni degli obiettivi che si possono ottenere con un  percorso terapeutico con in mente una precisa tecnica che è quella ad  orientamento psicoanalitico.
 Partiamo da uno  degli elementi più evidenti che possono condurre una persona a richiedere una  consulenza con un professionista della salute mentale, come è lo psicoterapeuta,  ossia il sintomo. Un’espressione evidente, concreta di sofferenza psicologica  che viene esposta attraverso una serie di comportamenti come possono essere i  disturbi dell’alimentazione, le ossessioni, le fobie, etc.. Una condizione spesso invasiva ed insopportabile che il  paziente chiede di superare. L’attenuazione dei sintomi è forse uno degli scopi  più salenti di una terapia, il paziente spesso tende a migliorare con il lavoro  terapeutico. Il sintomo porta con sé una complessità difficilmente riducibile ad  un semplicistico processo di causa ed effetto e proprio come un quadro astratto  porta con sé significati, tratti specifici, emozioni e in alcuni casi esprime  anche lo spirito del tempo e della cultura. Per l’influenza del tempo e della  cultura userò come esempio l’isteria, nella versione tipica ottocentesca, una  serie di sintomi caratterizzati da paralisi degli arti, cecità momentanea,  perdita di coscienza e della capacità di parlare. Seguita poi da una fase  emozionale molto intensa con azioni imprevedibili, gesti, smorfie che  rappresentavano sentimenti molto profondi. Una ritratto di questa sintomatologia  ce la presenta bene il regista David Cronenberg,  nel suo film A Dangerous Method nell’interpretazione che l’attrice Keira Knightley  dà della paziente isterica Sabina Spielrein. Una sintomatologia trasformata nel tempo, così come la sua diagnosi, fino a scomparire nelle più recenti classificazioni, dal DSM IIIR e  dall’ICD10, avendo subito un vero e proprio "smembramento" in diverse altre  configurazioni nosografiche, perdendo così quella identità che l’ha  contraddistinta per oltre un secolo nel rispetto di una riconoscibilità e  specificità (SAJA, SONNINO, STRUMIA, 1998). Oggi è molto raro vedere i sintomi  dell’isteria così come li vedevano i professionisti della salute mentale nel  diciannovesimo secolo.

La  sintomatologia psicologica spesso ha radici aggrovigliate che vengono alimentate  da più canali: le fasi evolutive, le esperienze di vita, i tratti caratteriali,  ne dà una semplice e chiara descrizione di questa non linearità la Mc Williams  (2002) con alcuni esempi clinici. La giovane ragazza con un “semplice” disturbo  alimentare è in realtà invischiata nelle relazioni di una famiglia  perfezionista, e che quindi il suo disturbo alimentare è un’espressione del
fatto che la paziente è “in trappola”; che l’uomo che ha chiesto una terapia di  coppia finalizzata a “migliorare la sua comunicazione” con la moglie, in realtà  ha un’amante segreta che sta crescendo un figlio che lui non ha riconosciuto. La  sintomatologia esprime e porta con sé una complessità che non può essere  sottovalutata, questa complessità va compresa e gestita insieme al sintomo  nell’ottica di un raggiungimento di una più generale stato di benessere. Ad  esempio la donna con disturbi alimentari non vuole solo smettere di vomitare,  sintomo prevalente, ma vuole anche arrivare al punto in cui il cibo per lei sia  semplicemente cibo, e non un deposito di tentazioni disperate e di un rimando di  un sé disgustoso. Così come una persona che ha subito un abuso sessuale durante
l’infanzia vuole cambiare internamente, soggettivamente, e passare dal sentirsi  la vittima di un abuso cui è successo di essere anche una persona, al sentirsi  una persona cui è successo di subire un abuso (Frawley O’Dea, 1996). Il processo  psicoterapeutico porta non solo all’attenuazione dei sintomi come abbiamo  descritto sopra ma a una serie di risultati correlati che vengono descritti come  lo sviluppo di insight, agency, identità, autostima, capacità di padroneggiare  gli affetti, forza dell’io e coesione del Sé, una capacità di amare, lavorare e  giocare più in generale un senso completo di benessere (Mc Williams, 2002).  Tratteggerò brevemente e separatamente questi obiettivi per darne meglio una  visibilità, sapendo bene che fanno parte di un complesso processo legato al  benessere individuale, che non è facilmente riducibile nelle sue singole  parti.

Partiamo  dall’insight,  un  termine che potremo esprimere come il vedere dentro di sé (in-sight), la  conoscenza, un ampliamento del modo di osservare la propria narrazione, un dare  voce al “conosciuto non pensato” (Bollas, 1987). Ad esempio la storia di una  donna che si descrive forte e indipendente ma che soffre molto per la sua  difficoltà nel mantenere una relazione stabile e duratura con un uomo.  Complessità relazionale che nasce da alcuni suoi comportamenti come scatti di  rabbia, la svalutazione del partner, la mancanza di interesse profondo per  l’altro che lei riproduce in modo spontaneo nelle sue storie d’amore senza  rendersene conto, con procedure automatiche così come quando guida una macchina  o pedala in bicicletta. Per questa donna il pensiero procedurale diventa  pensato, conosciuto, quando si passa attraverso l’emozioni, al sentire, al  condividere, il forte senso di abbandono, di umiliazione, di inferiorità che  prova nelle relazioni. Sentimenti nascosti da un comportamento difensivo di  rabbia e svalutazione del partner che protegge dalla sofferenza ma riduce la  propria agency, la propria crescita o libertà d’azione, altro obiettivo di una  psicoterapia, in questo caso impedendo la realizzazione  del  desiderio di una relazione stabile.

Abbiamo  accennato all’agency come alla  facoltà personale di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà, di  agire attivamente per il proprio benessere. Allora sarà frequente sentirsi dire  dalle persone in terapia frasi come: “non mi lascio più caricare di  responsabilità fino a scoppiare”, “accetto meglio il fatto che possa avere dei  limiti ”, “ho imparato a dire quello che sento e a condividerlo con gli altri”,  “ero troppo concentrato su di me e sulla mia ferita, non davo la giusta  attenzione alle persone importanti della mia vita”. Frasi che danno l’idea che  le persone possano tornare, anche dopo una forte tempesta, capitani  sufficientemente capaci a governare il timone della propria  nave.

L’identità, il riconoscerne le  sfaccettature, l’essere riconosciuto dall’altro con le proprie  caratteristiche che ci rendono unici e differenziati. Integrare parti di noi che  non vogliamo riconoscere perché attivano aree di sofferenza emotiva che a volte  non si è in grado ancora di comprendere e affrontare. Le difficoltà di accettare  il proprio Sé quando è diverso dalle aspettative familiari o gruppali. Capire  chi si è per poter affrontare con maggiori strumenti le sfide che troviamo nel  nostro percorso. Identità spesso precarie, fragili, aggrappate all’esteriorità  che rispecchiano un’immagine tenue del proprio Sé. Un’immagine scolorita di un’identità complessa ma non narrata, semplificata; che si regge attraverso un  ruolo lavorativo o famigliare che qualora venisse a mancare lascia un vuoto  soverchiante e una sensazione di pezzi da risistemare. Un percorso terapeutico  non può che avere a che fare con una conoscenza e un rafforzamento del proprio  Sé. 

Un altro  ingrediente che viene influenzato nell’impasto del lavoro terapeutico è l’autostima che trova nel lavoro e confronto psicologico, attraverso anche il riconoscimento delle proprie  imperfezioni e dei propri difetti, una maggior  stabilità. L’autostima  acquisisce una nuova solidità quando si affrontano i sentimenti di inferiorità,  di bassa stima del Sé, a volte ben nascosti da difese narcisistiche, difese che  creano un’impalcatura che protegge il Sé fragile a discapito della spontaneità  relazionale. 

Riconoscere e padroneggiare i  sentimenti
L’emozioni  sono una parte importante di un intervento terapeutico, sia la loro presenza che  assenza sono segnali molto utili da rilevare. Si pensa spesso che uno degli  obiettivi di una psicoterapia sia la scarica emotiva, una catarsi, una  liberazione da un peso emotivo. Ritengo sia più importante descrivere questo obiettivo come una capacità di riconoscere di essere consapevoli dell’aspetto emotivo ed imparare a padroneggiarlo. Come ad esempio nel caso del figlio, oggi adulto, che riconosce le  emozioni  positive di affetto e sintonia, per lungo tempo allontanate, per un padre  odiato, detestato e colpevolizzato per i suoi comportamenti legati ad una grave  patologia mentale. L’entrare in contatto con le emozioni positive che quel padre era in grado di far sentire al proprio figlio e che nessun altro famigliare era capace di fare provare. Entrare in contatto con la delusione di un padre  fragile, depresso che si ritira dalla vita e dai suoi amori. In questo caso l’emozioni negative hanno lasciato spazio, non solo alla catarsi liberatoria di  un pianto che esprime il riconoscimento di quel padre amato e dell’affetto provato, ma anche una rinnovata sintonia per quella figura rimasta scomoda per  troppo tempo.

Forza dell’Io e coesione del  Sé
Per  forza dell’Io utilizzerò la definizione di Heinz Hartmann che spiega questo  concetto come la capacità della persona di adattarsi alla realtà o più  semplicemente la possibilità di padroneggiare gli eventi del mondo esterno e
interno. Una persona con una buona forza dell’Io per definizione non è né  paralizzata da un senso di colpa eccessivo o irragionevole né vulnerabile alla  messa in atto degli impulsi del momento. Ad aggiungersi alla forza dell’Io vi è  la coesione del Sé cioè la possibilità di accogliere gli stimoli stressanti  senza andare incontro a frammentazione, disorganizzazione del senso d’identità.  Quindi possiamo sicuramente ribadire che tra i risultati di una psicoterapia c’è  sicuramente  l’incremento della  forza dell’Io e della coesione del Sé. “Vogliamo che una persona sia capace di confrontarsi con sfide difficili senza incorrere nell’esperienza interna di frammentazione e annichilimento… possa tollerare gli stati di regressione e destabilizzazione che sono al servizio della crescita” (McWilliams, 2002). 
 
Il  nostro discorso sui risultati di una psicoterapia è partito dai sintomi proprio  per la loro importanza, spesso anche come fattori scatenati la richiesta  d’aiuto. L’eliminazione e/o riduzione dei sintomi è sicuramente uno dei  risultati di un intervento terapeutico.  Abbiamo visto come il sintomo sia  un’espressione di una complessità e portatore di significati che il processo  psicoterapeutico può cogliere. Un processo che apre inevitabilmente ad aspetti  fondamentali come la conoscenza di Sé, l’identità, l’autostima, l’emozioni, la capacità di agire per la propria crescita. Elementi che nel corso della terapia  si modificano andando a incidere in modo positivo sulla qualità della vita del
paziente. Obiettivi che caratterizzano l’unicità della persona e ne influenzano  il suo benessere.


Dott. Alberto Migliore psicologo a Torino 

BIBLIOGRAFIA

 Bollas,  C. (1987), L’ombra dell’oggetto: psicoanalisi del conosciuto non pensato. Tr.  it. Borla, Roma 1989.
 Frawley-O’Dea, M.G. (1996), Ah yes, I Remember it Well. Or Do I? Paper presentato alla conferenza annuale
dell’Institute for Psychoanalysis and Psychotherapy of New Jersey, Edison, NJ.
 Hartmann, H. (1958), Psicologia dell’Io e problema  dell’adattamento. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino  1978.
 McWilliams, N. (1999), Il caso clinico. Tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
 SAJA , A., SONNINO, A., STRUMIA, F., “Appunti sulla nosografia dell’isteria”.  Giornale  Italiano di Psicopatologia,
vol. 4, n. 3, 1998.

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